SULL’ ANATOCISMO BANCARIO Quello che serve conoscere

con Nessun commento

L’anatocismo è un metodo di calcolo degli interessi per cui gli interessi maturati secondo una certa periodicità maturano altri interessi, cioè sono sommati al capitale dato in prestito in modo tale da contribuire a maturare altri interessi nei periodi successivi

L’anatocismo è contemplato dall’art. 1283 c.c. secondo cui gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, purché siano interessi dovuti da almeno sei mesi. Pertanto, il giudice potrà condannare al pagamento degli interessi su interessi nel caso in cui venga provato che, alla data della domanda giudiziale, erano già scaduti gli interessi principali.

L’art. 1283 c.c. è sintomatico dello sfavore con cui il legislatore ha valutato la pratica di capitalizzare gli interessi, così come sono contemplate altre restrizioni per interessi superiori a quelli legali. Tuttavia, le banche hanno continuato ad applicare la capitalizzazione trimestrale degli interessi, supportata da varie pronunce giurisprudenziali. A tal riguardo, occorre citare l’art. 25 del D. Lgs. n. 342/1999, co. 2, che ha aggiunto un nuovo comma all’art. 120 del D. Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), prevedendo la possibilità di stabilire i criteri di calcolo, purché periodico, degli interessi sugli interessi, maturati nell’esercizio dell’attività bancaria. Con una norma transitoria, inserita nel decreto n. 342/1999 il legislatore aveva contemplato una sanatoria per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, salvandone le clausole di capitalizzazione trimestrale.

Tuttavia, la Corte Costituzionale con sentenza del 17 ottobre 2000, n. 425, ha dichiarato illegittima la suddetta norma transitoria, per violazione dell’articolo 77 della Costituzione.

Rilevante è inoltre la sentenza del 4 novembre 2004, n. 21095, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella quale si afferma l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti per anatocismo, in quanto le clausole anatocistiche degli interessi precedenti al 1999, non rispondono ai principi dell’ordinamento giuridico normativo, ma attengono ad un uso prettamente negoziale. Pertanto, le suddette previsioni di calcolo si pongono in palese contrasto con l’art. 1283 c.c.Leggi l’art. 1283

L’art. 1283 c.c. è una norma di carattere eccezionale ed è applicabile perciò ai soli debiti di valuta (o pecuniari), e non è estensibile a quelli di valore. Per tale ragione non è estendibile al caso in cui gli interessi vengano riconosciuti a partire dalla data del fatto illecito sulle somme liquidate a titolo di risarcimento danno. Inoltre, l’art. 1283 c.c. non viene applicato in materia tributaria, ove sussistono disposizioni speciali che regolano gli effetti della mora debendi.

La disciplina dell’anatocismo si applica invece alla clausola penale, un patto con cui le parti stabiliscono, in caso di ritardo nell’adempimento, se siano dovuti o meno interessi, e ne prevedono la misura. Altro aspetto rilevante è l’applicazione dell’anatocismo agli interessi relativi ai crediti da lavoro, nonché a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di vario tipo.

L’art. 1283 c.c. prevede che gli interessi di un credito certo ma non liquido diventano esigibili solo in seguito ad una domanda giudiziale, e solo da tale data saranno suscettibili di produrre interessi anatocistici.

La domanda finalizzata al conseguimento del pagamento degli interessi anatocistici di cui all’art. 1283 c.c. è autonoma e distinta rispetto a quella volta al riconoscimento degli interessi principali, per cui deve essere finalizzata ad ottenere specificamente gli interessi stessi.

In particolare, tale domanda è nuova rispetto a quella eventualmente proposta per il riconoscimento degli interessi principali scaduti e della rivalutazione monetaria, per cui non potrà essere per la prima volta proposta in sede di rinvio o di appello.

La Cassazione a Sezioni Unite aveva stabilito, con la sentenza n.24418 del 2010, il diritto dei correntisti ad ottenere il rimborso delle somme addebitate illegittimamente dalle banche sul conto corrente, con la capitalizzazione trimestrale degli interessi.

La Suprema Corte, condividendo la precedente pronuncia delle Sezioni Unite n. 21095/04, aveva precisato che la prescrizione del diritto di ottenere la restituzione delle somme decorreva dalla chiusura del rapporto e non dalla data della singola annotazione a debito sul conto, garantendo in tal modo la resa dell’indebito.

In senso opposto a tale pronunzia è l’art. 2, co 61, della L. n. 10 del 2011, di conversione del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, (c.d. “Milleproroghe”), secondo cui:“in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”. Pertanto, è stato introdotto un nuovo sistema di calcolo per i tempi di prescrizione: i dieci anni decorrono non dalla chiusura del conto corrente, ma dalla singola operazione bancaria. Le conseguenze di questa norma “salva banche” sono sfavorevoli al cittadino, il cui diritto al ricorso in tal modo si prescrive molto prima.

La Corte Costituzionale con la sentenza del 2 aprile 2012, n. 78 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, co. 61 della L. n. 10/2011, Decreto Milleproroghe, relativo alla capitalizzazione trimestrale dell’interesse, in quanto esso violava l’art. 3 Cost. In effetti, la norma censurata, facendo retroagire la disciplina prevista, non rispetta il canone generale di eguaglianza e ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.).

Con la L. n. 147/2013, Legge di stabilità 2014, il legislatore ha attribuito al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (C.I.C.R.) il compito di dettare le modalità di produzione degli interessi nelle operazioni bancarie, con l’intento di eliminare l’anatocismo. Tuttavia, il successivo D.L. n. 91/2014 (Decreto competitività), modificando l’art. 120 T.U.B., ha riproposto la possibilità di capitalizzare gli interessi, prospettiva poi non mantenuta nel successivo decreto di conversione (L. n. 116/2014). Dunque, si è verificata una certa confusione interpretativa, in quanto, se da un lato vi era un testo che prevedeva la capitalizzazione degli interessi, dall’altro restava in vigore la delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, che costituiva una fonte primaria di attuazione regolamentare. A tal riguardo, secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ogni capitalizzazionedegli interessi, effettuata successivamente all’entrata in vigore della Legge di stabilità 2014, risultava essere illegittima.

Successivamente, nell’agosto 2015, il CICR redigeva una bozza della delibera che prevedeva un calcolo distinto tra capitale e interessi, e questi ultimi, attivi e passivi, sarebbero divenuti esigibili dopo sessanta giorni da quando il cliente riceveva l’estratto conto o altre comunicazioni. Inoltre, decorso tale termine, il cliente avrebbe potuto autorizzare l’addebito degli interessi sul conto, per cui la somma addebitata ai sarebbe sommata al capitale. Pertanto, la proposta di delibera del 2015, riconduceva la produzione di interessi moratori a quanto stabilito dal codice, e non anche a quanto disposto dall’art. 120, 2° comma, del TUB, reintroducendo,  sostanzialmente un meccanismo simile all’anatocismo bancario. Dunque, tale bozza aveva determinato un vivace dibattito, in quanto ritenuta in contrasto con l’allora vigente art. 120 comma 2 TUB, per cui si avvertì la necessità di operare una nuova modifica al testo.

Per tali motivi, nell’aprile 2016 il legislatore interveniva apportando modifiche all’art. 120, comma 2, T.U.B., con l’art. 17-bisD.L. 14 febbraio 2016, n. 18, inserito in sede di conversione con modifiche nella L. 8 aprile 2016, n. 49, a cui è stata data attuazione con il decreto n. 343 del 3 agosto 2016, del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, entrato in vigore l’1.10.2016.

Innanzitutto, l’art. 120 T.U.B. ha affidato al CICR il compito di fissare “le modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b)  gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo”.

In relazione al divieto di anatocismo, il DM del 3 agosto 2016, contempla il divieto di capitalizzazione degli interessi, tranne quelli moratori, conformemente ai principi generali fissati dagli articoli 1194 c.c., 1234 c.c. e 1284 c.c.

Per quanto riguarda i rapporti di conto corrente o conto pagamento, l’art. 3, comma 3, di detta delibera, prevede che gli interessi dovranno essere conteggiati al 31 dicembre di ogni anno; anche per i contratti iniziati in corso d’anno il calcolo si effettuerà comunque al 31 dicembre successivo, mentre l’art. 4 stabilisce che gli interessi debitori saranno esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Quando gli interessi diventeranno esigibili, il cliente potrà pagarli oppure autorizzarne l’addebito sul conto corrente, ma in tal caso,  gli interessi si sommeranno al capitale. Qualora, invece, il cliente decida di non pagare gli interessi e di non autorizzarne l’addebito sul proprio conto, si verificherà il presupposto per l’applicazione degli interessi moratori, per la cui produzione, secondo parte della dottrina, occorrerà proporre domanda giudiziale di cui all’articolo 1283 c.c., mentre, secondo un’interpretazione maggioritaria, essi scatteranno automaticamente per l’inadempimento del debitore.

Inoltre, l’art. 5 della delibera CICR del 3 agosto 2016 riguarda le modalità di adeguamento dei contratti in corso con l’introduzione di clausole contenenti l’autorizzazione prevista ex art. 4, comma 6, della delibera CICR del 3 agosto 2016 , che dovrà essere oggetto di specifica approvazione da parte del cliente.

In effetti, l’art. 117, comma 1, 2 e 3 del T.U.B. stabilisce che: “I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. Il CICR può prevedere che, per motivate ragioni tecniche, particolari contratti possano essere stipulati in altra forma.  Nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”.

In tema di accertamento della nullità di clausole anatocistiche dei contratti di conto corrente, rileva l’ordinanza n. 21646 del 5 settembre 2018, in cui la Sez. VI, della Corte di Cassazione, ha chiarito che il correntista, prima della chiusura del conto corrente, può chiedere alla banca di svolgere accertamenti sull’esistenza di clausole anatocistiche. Dunque, la Suprema Corte ha sancito una tutela dell’interesse dei correntisti avverso le clausole illegittime, riconoscendo loro il potere di agire in giudizio per far rilevare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, anche se il rapporto di conto corrente è ancora in corso.

Un’altra recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità, avente ad oggetto la nullità delle clausole relative agli interessi, è l’ordinanza n. 3337 del 5 febbraio 2019, in cui la Corte di  Cassazione ha ribadito che, in caso di necessità di ricalcolo del saldo di conto corrente a causa della nullità, dunque in presenza di anatocismo, la banca è tenuta a produrre in giudizio gli estratti conto integrali, in quanto solo in tal modo sarà possibile arrivare dal saldo zero iniziale a quello finale, e calcolare così le reciproche rimesse e compensazioni.

In tema di usura bancaria, assume rilievo l’ordinanza 30 ottobre 2018, n. 27442, in cui la Cassazione ha sancito la nullità del patto con il quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della I. 7.3.1996 n. 108. La Suprema Corte ha infatti stabilito che: “è nullo il patto col quale si convengano interessi convenzionali  moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della I. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali”.

Infine, occorre menzionare la sentenza della Corte di Giustizia UE, Sez. III, 14 marzo 2019, C-118/17 che è intervenuta in merito all’asserita abusività di una clausola contrattuale secondo cui il tasso di cambio applicabile all’atto dello sblocco dei fondi di un mutuo in valuta estera è basato sul tasso d’acquisto praticato dalla banca, mentre il tasso di cambio applicabile all’atto del suo rimborso è fondato sul tasso di vendita della stessa. 

In relazione alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, regolate nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, la Corte UE ha sancito che osta al diritto dell’Unione, la normativa nazionale che vieta, al giudice adito di annullare un contratto di mutuo, che sia basata sul carattere abusivo di una clausola relativa al rischio di cambio, qualora si sia constatato che tale clausola è abusiva e che il contratto non può sopravvivere senza tale clausola. Pertanto, la giurisdizione suprema di uno Stato membro dovrà adottare, nell’interesse di una uniforme interpretazione del diritto, decisioni vincolanti in merito alle modalità di attuazione della direttiva 93/13/CEE, purché queste ultime consentano al giudice competente di garantire il pieno effetto delle norme contenute in tale direttiva e di mettere a disposizione del consumatore un ricorso effettivo ai fini della tutela dei diritti che esso può trarne.

MAGGIORI INFORMAZIONI:

☎ 800 600 955 numero verde gratuito

☎ 0422 4560030422 451267

📩 segreteria@centrodirittobancario.it

Segui Centro Diritto Bancario:

Grazie alla significativa esperienza maturata negli anni e alle competenze acquisite, CENTRO DIRITTO BANCARIO, risponde alle diverse esigenze dei suoi clienti supportandoli nella verifica dei contratti bancari, posizioni tributarie ed esattoriali. Il nostro core business è la salvaguardia dei diritti di ciascun cliente. Diligenza, integrità, trasparenza, senso di responsabilità e collaborazione sono i principi guida delle nostra attività e la chiave di un successo a lungo termine. Grazie alla competenza, all’impegno, al know-how e alla attenzione al servizio, sosteniamo i nostri clienti nella tutela richiestaci.

Rispondi