Alcune osservazioni a margine di un interessante ordinanza del Tribunale di Lodi (Ord. 13 ottobre 2023).
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la nota pronuncia n. 9479/2023, sulla scia della giurisprudenza comunitaria, hanno aperto la strada al rilievo della nullità delle clausole contenute nei contratti stipulati fra professionisti e consumatori anche davanti al Giudice dell’esecuzione, allorquando il decreto ingiuntivo posto a fondamento della richiesta del
creditore non è stato preventivamente opposto da un debitore che può fregiarsi della qualifica di consumatore.
L’applicazione di tale rivoluzionaria pronuncia è frequente soprattutto nei rapporti con le banche.
L’esempio più banale ma anche più ricorrente nella pratica riguarda la clausola di deroga all’art. 1957 c.c., praticamente onnipresente nei modelli di fideiussione proposti dagli istituti di credito.
La nullità di tale clausola – vessatoria per il consumatore -, è stata recentissimamente confermata anche dalla Cassazione (cfr. Cass., Sez. III, 28 settembre 2023, n. 27558), in quanto la facoltà concessa alla banca di agire per il recupero del proprio credito oltre il limite temporale di sei mesi dalla chiusura dei rapporti, è stata ritenuta illegittima,
trattandosi di una previsione contrattuale squilibrata, ad evidente danno del consumatore. Il combinato disposto delle recenti prese di posizione della Cassazione, consente, quindi, al garante di eccepire, anche a pignoramento già avviato, la nullità della propria garanzia per violazione del termine semestrale indicato dall’art. 1957 c.c.. E tanto, grazie alle Sezioni Unite, il fideiussore può fare anche nell’ipotesi in cui non sia stata proposta opposizione all’ingiunzione della banca. Ovviamente, questo non vale in tutti i casi, ma solo nell’ipotesi in cui il garante sia, ad esempio, un familiare dell’imprenditore, ovvero in tutte quelle ipotesi in cui, in generale, il fideiussore non abbia rapporti di interesse o legami diretti con l’impresa debitrice della banca (cfr. in tal senso tra le molte Cass., Sez. VI, 16 novembre 2021, n. 34515). In tali casi, il fideiussore viene, per così dire, rimesso in termini dal Giudice dell’esecuzione che concede al garante la possibilità di formulare opposizione tardiva al decreto ingiuntivo della banca, per far valere la violazione dell’art. 1957 c.c. e, quindi, la nullità dello stessodecreto ingiuntivo. Pertanto, anche un fideiussore “sbadato” o, comunque, inconsapevole della propria particolare qualifica che non ha tempestivamente opposto l’ingiunzione ricevuta dalla banca, può far valere le proprie ragioni anche a seguito della notifica del pignoramento.
Ad una condizione però: il decreto ingiuntivo non deve, appunto, essere stato opposto e il Giudice di questo non deve aver preventivamente valutato se il garante poteva o meno essere qualificato come consumatore.
E se l’opposizione è stata, invece, promossa ma fuori termine, ovvero quando è stata notificata oltre i quaranta giorni di legge?
I principi espressi dalle Sezioni Unite valgono anche in questo caso, o siccome l’opposizione è stata, comunque, promossa, il Giudice dell’esecuzione successivamente adito dal debitore non può più porre rimedio ai precedenti errori del garante. La questione non è di poco conto, dato che se è vero che molte sono le procedure esecutive promosse sulla base di decreti ingiuntivi non opposti dai consumatori, è pur vero anche che di non di rado – le esecuzioni possono fondarsi su decreti ingiuntivi divenuti definitivi a seguito di opposizioni malamente promosse e definite con sentenza in rito di inammissibilità o improcedibilità.
Secondo una visione più restrittiva, il fideiussore non potrebbe dolersi del mancato esame della vessatorietà delle clausole della garanzia rilasciata alla banca se aveva opposto fuori termine il decreto ingiuntivo.
Si tratta, però, di un approccio punitivo che nega tutela al debitore per il sol fatto di aver esercitato malamente il diritto di opporre il decreto ingiuntivo. Invero, secondo tale non condivisibile interpretazione, la finalità della normativa consumeristica è evidentemente quella di tutelare il consumatore che non abbia potuto beneficiare della tutela effettiva contro il decreto ingiuntivo e non quella di rimettere in termini il consumatore che abbia speso tale tutela, mal esercitandola (cfr. in questi termini Trib. Belluno, ord., 13.06.2023).
A modesta opinione di chi scrive si tratta di un argomentazione punitiva, fallace e contraddittoria.
Del resto, se è vero, come è vero, che nel più sta sempre anche il meno, non si capisce perchè un debitore che non abbia promosso alcuna opposizione dovrebbe essere maggiormente tutelato di quello che l’ha promossa, seppur in maniera errata, e magari anche deducendo sin da subito la propria qualifica di consumatore.
E’ pur vero, d’altronde, che se, per effetto delle Sezioni Unite del 2023, è venuta meno la cd. preclusione da giudicato in relazione al decreto non opposto allorchè questo non dia motivazione sulla vessatorietà o meno delle clausole contenute in un contratto di consumo, non può ritenersi a maggior ragione formato il giudicato quando l’opposizione viene
definita in rito, ovvero senza alcun vaglio nel merito dell’opposizione da parte del Giudice. In altri termini, non ha senso che il fideiussore che abbia opposto tardivamente l’ingiunzione della banca sia trattato in maniera deteriore rispetto al garante che detta opposizione non abbia promosso affatto.
D’altro canto, se la preclusione da giudicato viene meno nel secondo caso non può non venir meno anche nel primo, per la sola considerazione che il diritto di opporsi è stato erroneamente esercitato dal debitore. Significherebbe anteporre il formalismo della procedura all’effettività della tutela per il consumatore.
In questo senso, difatti, una, seppur minoritaria giurisprudenza di merito, ha acutamente osservato che, anche in un’ottica di economia processuale, sarebbe un controsenso escludere il vaglio di eventuali clausole abusive, quando l’opposizione è stata promossa in ritardo ed è, dunque, destinata ad essere definita in rito con pronuncia di inammissibilità, per attendere, poi, inutilmente che la questione venga riproposta in sede esecutiva (cfr. Trib. Verona, ord., 6 luglio 2023).
Perciò, l’opposizione malamente esperita dal fideiussore dovrebbe essere ragionevolmente equiparata al caso – più radicale – dell’opposizione non promossa, consentendo, così, al debitore di promuovere una nuova opposizione, per far valere la possibile nullità della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. e la conseguente estinzione della fideiussione.
Invero, ci sia personalmente consentito rilevare che la sentenza di inammissibilità dell’opposizione non sostituisce – quale nuovo titolo esecutivo – il decreto ingiuntivo della banca su cui si fonda il pignoramento, sicchè ci si trova, sostanzialmente, nella medesima situazione in cui l’azione esecutiva si fonda su un decreto divenuto definitivo per mancata opposizione.
Della riferita problematica si è fatto recentemente portavoce il Tribunale di Lodi che ha opportunamente chiesto lumi alla Cassazione, sottoponendogli direttamente la questione tramite lo strumento introdotto con il nuovo art. 363 bis c.p.c..
Il Tribunale di Lodi ha, infatti, rilevato un contrasto circa la possibilità di richiedere termine per l’opposizione tardiva in sede esecutiva quando il fideiussore ha opposto il decreto in malo modo con opposizione dichiarata inammissibile ovvero quando l’opposizione, pur ritualmente proposta, è divenuta definitiva senza che sia stata rilevata ed esaminata dal Giudice l’abusività di una o più clausole contrattuali relative ad un rapporto di consumo.
La questione sarà, pertanto, presto chiarita dalla Suprema Corte.
Nel frattempo, in fiduciosa attesa, con un’attenta difesa, anche in ipotesi come quelle sopra descritte, si potrà, comunque, argomentare a favore di quello che, per ora, sembra un orientamento minoritario ma che appare anche il più ragionevole in un’ottica di vera ed effettiva tutela dei consumatori di fronte alle banche.