🟥 AVV. ANTONIO GALLINARO L’accertamento dell’usura nei finanziamenti bancari.

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Avv. Antonio Francesco Gallinaro

Molti magistrati (giudici e p.m.), avvocati, consulenti e soprattutto i responsabili degli istituti di credito e delle finanziarie autorizzate all’esercizio del credito, quando si parla di usura, hanno ritenuto che la questione non abbia una rilevanza pratica nelle operazioni di finanziamento, prestiti o mutui conclusi dalle loro società.

I dirigenti ed i funzionari generalmente seguono le procedure previste dalla Banca d’Italia, alla cui vigilanza queste imprese sono soggette ai sensi del T.U.B. ( Testo unico bancario) e pertanto, anche nell’ipotesi che, per un caso fortuito, il tasso complessivo applicato ad una determinata operazione creditizia, superi il limite di legge, il reato non si verificherebbe perché, in ogni caso, mancherebbe il dolo.

Secondo l’opinione di una larga parte dei giuristi, gli amministratori, i dirigenti ed i funzionari delle banche, abitualmente, rispettano tutte le normative sul credito e le circolari della Banca d’Italia. Nessuno di loro opera di certo con l’intenzione di applicare alla clientela tassi usurari,  al massimo, nel caso sopradescritto, potrebbe sussistere un illecito di natura civile. Ma questa convinzione, innanzi tutto moralmente e poi anche giuridicamente, assolutamente infondata.

IL REATO DI USURA

In Italia l’usura, a partire dal 1997, si realizza in due modi. La prima fattispecie è disciplinata dal combinato disposto del primo e terzo comma (prima parte) dell’art. 644 c.p. ed è così descritta: “Chiunque … si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, é punito … La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari.“ L’art. 2, comma 4, della legge 108/96 precisa che “Il limite … oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, é stabilito nel tasso [effettivo globale] medio [riferito ad anno] risultante dall’ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito é compreso, aumentato della metà”. La rilevazione del TEG “tasso effettivo globale medio …, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche … nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura” dovrebbe essere effettuata, ogni tre mesi, dal Ministro dell’Economia, sentita la Banca d’Italia (art. 2, comma 1 della legge 108/96) [3]. Come si evince, la fattispecie base dell’usura si caratterizza per la predeterminazione normativa di un tasso soglia, per ogni tipologia di finanziamento e/o operazione di credito, al di sopra del quale l’interesse diventa usurario “usura oggettiva”.  Si sottolinea che in questa tipologia vi è l’assenza di qualsiasi riferimento alla situazione di debolezza economica della vittima del reato. Il requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, previsto nella fattispecie dell’usura delineata dall’art. 644 c.p., in vigore fino al 1996, non è più richiesto affinché si perfezioni il delitto e vale solo come circostanza aggravante. Chiunque presti soldi non può farlo richiedendo o percependo un corrispettivo  superiore a quello stabilito periodicamente dalla legge, tramite l’autorità amministrativa.

L’altra fattispecie di usura è descritta dalla seconda parte del terzo comma dell’art. 644 c.p. e prevede che “Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori [al limite stabilito dalla legge] che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alle prestazioni di denaro …, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”. Il  legislatore ripropone il requisito delle condizioni economico/finanziarie della parte che accetta di pagare o paga il corrispettivo usurario, già presente nella cosiddetta usura impropria di cui all’art. 644 bis c.p. (in vigore dal 1992 al 1996) e introduce la nuova nozione normativa di “interessi comunque sproporzionati rispetto al capitale prestato, tenuto conto della situazione economico/finanziaria del soggetto che li ha dati o promessi .

Molti indicano questo secondo tipo di usura (l’usura “soggettiva”) come ipotesi naturalmente “residuale” o “sussidiaria” del reato, ma niente in realtà giustifica tale classificazione: si tratta di due fattispecie alternative di realizzazione del delitto e non è pertanto assolutamente necessario che prima si verifichi il superamento del tasso soglia e solo dopo si possa eventualmente considerare l’approfittamento delle condizioni di difficoltà economiche o finanziarie del debitore, quasi come se, escluso il primo caso, il secondo rappresenti un tentativo, quasi impossibile, di raggiungere egualmente la prova dell’usura.

L’usura, in entrambe le fattispecie, come ben si comprende dalla semplice lettura del testo della norma, a differenza della maggior parte dei reati, non si configura per l’esistenza o meno di un fatto (naturale) causato, dolosamente o colpevolmente, da una persona (reo), ma si concretizza semplicemente con l’instaurarsi tra le parti di un rapporto (giuridico) sinallagmatico, un accordo che prevede obbligazioni reciproche.

Il comportamento penalmente e civilisticamente] sanzionato infatti consiste, in ogni caso, nel “farsi dare o promettere … in corrispettivo di una prestazione di denaro interessi usurari”, cioè nell’aver incassato/preteso a interessi superiori al limite di legge o che risultino comunque sproporzionati, rispetto alla controprestazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria. Sia nell’uno (usura “oggettiva”) che nell’altro caso (usura “soggettiva”) l’elemento fondamentale del reato di usura non è tanto il comportamento di un determinato soggetto (il reo) nei confronti di un’altra persona (la vittima), ma l’accordo di due parti, in entrambe le fattispecie, è nel contratto.

E’ fuori discussione che le parti di un contratto usurario non debbano necessariamente essere persone fisiche, ma possano benissimo essere anche persone giuridiche: banca o finanziaria, come soggetto che si fa “dare o promettere la prestazione usuraria” (danaro o altra utilità) da un lato ed impresa societaria o ente (pubblico o privato) che “consegna o promette di dare interessi usurari” dall’altro lato del rapporto sinallagmatico usurario.

I contratti di finanziamento soggetti alle norme antiusura, sono i seguenti  tipi: aperture di credito in conto corrente, finanziamenti per anticipi su crediti e documenti e sconto di portafoglio commerciale, crediti personali, crediti finalizzati all’acquisto rateale, credito revolving e con utilizzo di carte di credito, operazioni di factoring,  operazioni di leasing,  mutui,  prestiti contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione,  altri finanziamenti a breve e medio/lungo termine. Come ben si vede, i tipi di accordi potenzialmente usurari sono tutti contratti quotidianamente utilizzati per ordinarie operazioni di credito, i cui contraenti sono, di norma, da un lato una banca/finanziaria (società) e dall’altro un’impresa o una famiglia.

Nonostante la legge penale assoggetti in modo evidente le banche e le finanziarie alla normativa antiusura (commette il reato in forma aggravata chi svolge questa attività e chi, come di regola fanno banche e finanziarie, concede prestiti con ipoteche, per non parlare dell’elenco dei contratti potenzialmente usurari), da parte dell’intero sistema sociale, in tutte le sue componenti (economiche, politiche, giudiziarie, amministrative e religiose), fin dall’entrata in vigore della legge 108/96 e fino ad ora, l’ipotesi che sia possibile la presenza di tassi usurai nei finanziamenti delle banche e degli altri intermediari “autorizzati” non è praticamente mai stata nemmeno presa in considerazione. Lo stato ed il popolo, attraverso i magistrati, evidentemente non possono pretendere di controllare il mercato del credito: questa è stata la tacita conventio pattuita tra tutte le forze socio economiche italiane, fin dall’approvazione della legge 108/96 avvenuta, per il vero, in modo rocambolesco a fine legislatura.

Solo a settembre 2008, dopo dodici anni dall’approvazione della legge 108/96, in un studio sul lato criminale del fenomeno dell’usura, viene inserito finalmente un breve capitolo sul credito bancario dove, per la prima volta, un organo dello stato dice che si, forse è vero che pure le banche possono fare usura, visto che ci sono sporadiche sentenze di condanna [20].

1. Usura come reato-contratto

Considerato l’elenco dei tipi di finanziamenti potenzialmente usurari, risulta evidente che l’usura è un “reato-contratto”, non certo un “reato in contratto”, ciò significa che l’usura non è un reato che si commette “attraverso” un contratto di per sé lecito, come ad esempio nel caso della truffa.

Il reato di usura sussisterà in quanto esiste un contratto usurario: la legge, sia penale che civile, punisce il semplice fatto (giuridico) della conclusione (stipula) del contratto con cui si chiedono interessi usurari, cioè dei corrispettivi per il finanziamento concesso.

Questi corrispettivi, considerate anche le commissioni, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese connesse (escluse solo imposte e tasse), sono (o possono essere) usurai quando complessivamente sono (o possono essere) superiori al limite di legge (tasso soglia) oppure inferiori, ma sproporzionati rispetto alla controprestazione e considerati i tassi medi.

La legge nel caso dell’usura non punisce il fatto (naturale) che qualcuno chieda, con un contratto (lecito), degli interessi illeciti (usurari), ma oggetto delle sanzioni, civili e penali, è l’accordo da cui discende la dazione/pretesa di interessi usurari.

Ciò significa che il reato e l’illecito civile, si commettono già con la stipula del contratto, non dipendono dall’azione di una persona (l’usuraio) e dei suoi complici, come ad esempio, nella truffa dove, stipulato un (lecito) accordo preliminare, l’ingenuo turista italo-americano consegna a Totò (il truffatore) i soldi per l’acquisto della fontana di Trevi; la sostanza del reato, in questa truffa, sta nella consegna dei soldi ottenuta con l’inganno (al compratore viene fatto credere che la fontana sia di Totò), non certo nel contratto (accordo), in cui si dice solamente che la fontana viene venduta per tot soldi.

L’ oggetto, l’“arma” del delitto di usura, è invece l’accordo, con cui si chiedono interessi oltre il limite o sproporzionati ed i colpevoli, in tal caso, saranno logicamente tutti quelli che approvano e utilizzano (anche in sede giudiziaria) il contratto usurario!

E’ pertanto evidente che penalmente responsabili del reato di usura, sono coloro che predispongono (fasi preliminari e/o precontrattuali), concludono (stipula) e/o chiedono l’esecuzione dell’accordo usurario, come meglio si vedrà più avanti.

Normalmente il truffatore non ricorre alla giustizia per farsi versare il prezzo utilizzando il contratto (pur lecito), in caso di inadempimento del truffato, mentre gli usurari (soprattutto le banche) finora sempre tentano di ottenere per vie legali il frutto di accordi sostanzialmente illeciti, contando sia sull’incapacità del sistema di prevenire l’usura, che sulla debolezza economica e sociale dei loro clienti, che non permette loro di capire la situazione.

2. Prova dell’illecito e responsabilità nel reato di usura bancaria

Considerata la struttura del reato, per provare la prima fattispecie di usura (l’usura “oggettiva”), sarà sufficiente accertare l’esistenza dell’accordo (contratto) di finanziamento e riscontrare che il tasso annuo (effettivo e globale) del corrispettivo pattuito sia (o possa essere) usurario, cioè superiore al tasso soglia vigente al momento della stipula del contratto.

Si sottolinea che il contratto è usuraio anche quando il tasso annuo (effettivo e globale), è solo potenzialmente usuraio, poiché il reato di usura è un reato di pericolo (non è necessario che si verifichi un danno reale), in quanto viene punita non tanto un’azione specifica (incassare interessi usurari), ma la predisposizione dello strumento (il contratto, il semplice atto giuridico), per commettere ciò che il legislatore considera un grave danno per l’intera economia: pretendere e/o incassare interessi superiori al limite di legge oppure sproporzionati (usura).

E’ opportuno precisare che i decreti ministeriali trimestrali, in cui dovrebbe essere indicato il limite dell’usura nelle varie operazioni finanziarie, in realtà contengono solo i tassi medi delle operazioni di credito rilevati alcuni mesi prima; questo dato (il tasso medio per ogni tipo di contratto), dovrebbe essere utilizzato, come previsto dall’art. 2, comma 4, della legge 108/96, dagli operatori del settore per l’individuazione del tasso soglia (tasso medio + ½ tasso medio), valevole per ogni specifica operazione di finanziamento (contratto di fido, di mutuo, di leasing, ecc..) perfezionata nel trimestre successivo alla pubblicazione.

Verificato che esiste un contratto di finanziamento e che in quel contratto il tasso (annuo) effettivo e globale [t(a)eg] applicabile/applicato possa essere/sia superiore al tasso soglia, sono accertati il fatto (giuridico) penalmente rilevante (il reato) e l’illecito civile, anche se chi sottoscrive il contratto, per conto dell’istituto di credito o della finanziaria, non fosse pienamente consapevole che il t(a)eg concordato è usuraio.

L’usura però, come abbiamo visto, non si realizza solo quando il tasso degli interessi supera, concretamente (interessi pagati) o potenzialmente (interessi promessi), il tasso soglia, ma c’è pure quando vengono pagati o promessi interessi sproporzionati (rispetto al capitale prestato), anche se inferiori al tasso soglia (con riguardo però al tasso medio), approfittando dello stato di necessità economico o finanziaria del richiedente (art. 644 c.p., terzo comma, seconda parte).

Questo secondo tipo di usura (l’usura “soggettiva”), finora, non è stato particolarmente considerato e praticamente tutti gli operatori del settore finanziario ed ampi settori della magistratura, ritengono che ci sia usura solo quando vengono incassati (da soggetti esterni al settore del credito legale) interessi complessivi sopra il tasso soglia, ma questo è un clamoroso errore, perchè l’usura (reato di pericolo), come si è visto, sussiste anche quando, con il solo contratto, una parte si obbliga a pagare, per il finanziamento (da chiunque concesso), un tasso di interessi (annuo) effettivo e globale superiore al limite o “sproporzionato”; l’usura si avrà egualmente anche se materialmente non viene mai corrisposto alcun interesse superiore al tasso soglia o sproporzionato.

Ai fini dell’accertamento del reato, nell’ipotesi di usura “soggettiva”, evidentemente sarà però necessario provare, oltre al contratto ed al tasso “sproporzionato”, anche lo stato di necessità economico o finanziaria del contraente passivo (mutuatario in senso lato).

Si tratterà, come facilmente si comprende, di accertare la sussistenza di elementi (contratto, tasso complessivo e stato di necessità economico/finanziario) che hanno soprattutto natura civilistica e contabile i quali però, considerati nel loro insieme, hanno un non indifferente risvolto di ordine penale per gli amministratori di banche e finanziarie, indipendentemente dalla questione della partecipazione, più o meno cosciente (dolo), dei funzionari che hanno contribuito a perfezionare l’accordo usurario, considerata la natura di “reato-contratto” dell’usura.

Il problema dell’usura nei contratti bancari poi, non può limitarsi alla mera nullità delle clausole ex art. 1815 c.c., ma deve anche essere considerata attentamente la questione del risarcimento del danno da fatto illecito che, nel caso di imprese costrette al fallimento, alla chiusura o ad un ridimensionamento dell’attività, dai tassi elevati praticati dalle banche finanziatrici, attente solo ai loro interessi non è di certo risolta con l’azzeramento degli interessi oltre il limite o sproporzionati (usurari) corrisposti/promessi.

L’individuazione degli eventuali colpevoli dell’usura (compresi, a mio avviso, anche quelli che agiscono in sede giudiziaria per l’esecuzione forzata di obbligazioni discendenti da un contratto usurario) in entrambe le fattispecie sarà logicamente oggetto di un’indagine ulteriore, di competenza (questa si) esclusivamente penale, nel cui ambito il p.m., se nella fattispecie sono coinvolte più persone (come succede di regola nell’usura connessa ad un contratto bancario), può anche valutare l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata all’usura (bancaria) o concludere che per alcuni, si tratta di concorso o di favoreggiamento e che altri sono invece i soggetti responsabili dei contratti (usurari).

Nei caso di contratti bancari usurari il reato è “naturalmente” pluriaggravato e ci sarà anche, ex art. 110 c.p., il concorso di più persone (amministratori, responsabili di area, direttore della filiale, ecc…), con le relative circostanze aggravanti (essere più di cinque e determinare altri a commettere il reato), visto che è praticamente impossibile che in banca un finanziamento sia gestito da una sola persona; per non parlare poi della continuazione ex art. 81 c.p., cioè del fatto che da un contratto-tipo derivino una serie di reati di usura, commessi nei confronti dei molteplici clienti cui la banca ha applicato le medesime clausole usurarie.

3. L’incasso degli interessi usurari

Si deve poi considerare che il delitto di usura, secondo la giurisprudenza più recente è classificato come reato “ad azione prolungata” o “a consumazione frazionata”, mentre precedentemente veniva classificato come reato “istantaneo con effetti permanenti”, ma in entrambi i casi, visto il suo schema duplice (accordo ed incasso illecito), è certo che responsabili del reato sono sia coloro che mettono in atto l’accordo usurario, che i partecipati alle operazioni di incasso degli interessi usurari, comprese evidentemente le operazioni di esecuzione/fallimento dirette a questo fine; questi ultimi soggetti, al limite, saranno responsabili del reato solo a titolo di concorso o quanto meno, a titolo di favoreggiamento reale dello stesso (art. 379 c.p.).

In ogni caso l’art. 644-ter. c.p. prevede che la prescrizione del reato di usura decorra dal giorno dell’ultima riscossione (senza distinguere tra interessi o capitale).

Nel contratto di mutuo (ed operazioni similari) l’ultima riscossione coincide con l’ultimo pagamento di una rata, mentre nel caso di apertura di credito (e simili) coincide con la chiusura del conto corrente o con l’ultimo saldo attivo, se il conto non è stato ancora chiuso.

Nei casi in cui l’usuraio (anche quello bancario) stia esercitando un’azione di recupero forzato del suo (pseudo) credito, documentato, ad esempio, nel saldo negativo (a sfavore dell’usurato) del conto corrente, con l’inserimento nel passivo fallimentare o la partecipazione ad un’esecuzione immobiliare sui beni dell’usurato o dei suoi garanti (fideiussori), il reato è palesemente ancora in corso, in quanto di certo l’ultimo pagamento non si è ancora verificato, visto che l’usuraio lo sta chiedendo per via giudiziaria e che in tale sede potrebbe ancora avvenire, ad es. con un’istanza di conversione del pignoramento, con l’attribuzione del ricavato delle vendite forzate, ecc….

Solo quelli che (infondatamente) ritengono l’usura un reato “istantaneo” (perfezionatesi con la semplice stipula dell’accordo), possono sostenere che il pagamento degli interessi usurari sia un post factum “non punibile”, ininfluente a qualsiasi altro effetto e pertanto, secondo costoro, non potrebbe venire coinvolto, a titolo di concorso, chi acquista il credito usurario o non potrebbe essere arrestato in flagranza chi incassa le rate usurarie, ma la Cassazione, spiegando che l’usura è un reato a schema duplice, dove rilevano sia il contratto che il conseguimento del profitto illecito, ha chiaramente preso posizione per la sua classificazione come reato “ad azione prolungata”, in modo che anche la dazione degli interessi sia compresa nella consumazione del delitto, visto che la norma dell’art. 644 c.p., punisce espressamente chi “si fa dare” interessi usurari e che quella dell’art. 644 ter c.p. fissa l’inizio della prescrizione del reato dalla data dell’ultimo incasso, indifferentemente che si tratti di interessi o di capitale.

4. La perizia per l’accertamento dell’usura bancaria

Una perizia a regola d’arte, nel caso di verifica dell’usura nei finanziamenti bancari, non può limitarsi al mero calcolo del tasso globale [t(a)eg] risultante dalla documentazione contabile, ma dovrà partire dall’esame dei rapporti giuridici (contratti) esistenti tra le parti, tenendo conto della eventuale nullità di clausole relative al calcolo degli interessi.

Il perito, come primo atto dell’accertamento di usurarietà di un tasso, dovrebbe pertanto verificare l’esistenza delle clausole del contratto (di finanziamento) che potrebbero provocare l’usura, cioè un tasso annuo (effettivo e globale) superiore al tasso soglia (usura oggettiva) o sproporzionato (usura soggettiva).

Nel caso di contratti di apertura di credito e di sbf/castelletto gestiti tramite un unico conto corrente (una fattispecie molto frequente per le piccole e medie imprese), il perito non può certo limitarsi a calcolare semplicemente il tasso trimestrale relativo al conto corrente (che non è nemmeno un contratto di credito !), confrontandolo con limite legale dello stesso periodo, non sapendo poi bene quale tasso soglia prendere in considerazione: quello dell’apertura di credito (più alto) o quello dell’sbf/castelletto (più basso) ?.

A mio avviso il perito dovrebbe esaminare le clausole che vanno a determinare l’ammontare degli interessi e delle spese connesse al contratto di finanziamento (apertura di credito e/o sbf) e poi considerare la concreta applicazione delle stesse, dal momento iniziale a quello finale del rapporto (che può essere diverso nei due casi), confrontando il tasso (annuo) effettivo e globale che risulta dal calcolo, sia con il tasso soglia previsto nel trimestre della stipula del contratto (per la verifica dell’usura “oggettiva”) che con il tasso medio effettivamente applicato nel periodo (per la verifica dell’usura “soggettiva”).

Si sottolinea inoltre che, ai sensi dell’art. 1422 c.c., l’azione promossa dal cliente verso la banca per far valere la nullità delle clausole di un contratto di finanziamento che conducono all’usura è imprescrittibile e pertanto la prassi costante (ed illegale) di tutte le banche di attuare sistematiche “scorrettezze” contabili nelle operazioni di finanziamento collegate ai conti correnti (aperture di credito, sbf, mutui, ecc…), come il calcolo di interessi composti (anatocismo), di interessi “uso piazza” (ultralegali), di “valute” (antergazioni e postergazioni di addebiti e accrediti) e di “commissioni massimo scoperto” (senza causa contrattuale) sarà sempre contestabile, quanto meno in sede di verifica peritale del tasso (annuo) effettivo e globale, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., anche in sede di procedure esecutive o fallimentari.

5. Ricalcolo dei “numeri” e calcolo del t(a)eg nell’apercredito/castelletto

In sede di perizia contabile, la verifica iniziale della validità delle clausole del contratto che determinalo le modalità di calcolo dei corrispettivi (interessi nominali + oneri), comporterà nell’apertura di credito/castelletto, in caso di una loro indiscutibile nullità (accettata dalle parti), il ricalcolo dei saldi dei c/c relativamente ai periodi contrattuali da esaminare.

Il ricalcolo dei saldi è necessario per individuare il monte “capitale” ed il monte “interessi + oneri” da utilizzare nella formula per il calcolo del t(a)eg, sia essa quella prevista da Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del teg medio” che quella derivata dalla formula utilizzata dalla banca per il calcolo degli interessi; l’individuazione del monte capitale è la base per la determinazione dei “numeri” (capitale x giorni).

La conseguente modifica, a favore del cliente, dei “numeri debitori” (capitale x giorni) utilizzati dalla banca nel calcolo degli interessi a debito (documentato nel trimestrale “conto scalare”), nei casi di nullità delle clausole utilizzate per questo calcolo, farà variare, in pejus per la banca, anche il calcolo del t(a)eg dei successi periodi.

I consulenti tecnici che calcolano il t(a)eg nell’apertura di credito in conto corrente utilizzando solo i “numeri” della banca non eseguono, a mio avviso, correttamente questa verifica.

Seguendo una logica preventiva (l’usura è reato di pericolo) il controllo del supero del limite di legge, nel caso di contratti di finanziamento che variano nel tempo come il fido o il castelletto, dovrebbe essere effettuato ad ogni cambio di tasso, ma tenendo conto delle necessità di inserire nel t(a)eg le spese connesse e soprattutto considerando che, in questo tipo di contratti di finanziamento, il tasso complessivo può essere calcolato solo a posteriori (dipendendo l’addebito di alcuni oneri, quali ad es. la cms, dal comportamento del cliente), la soluzione più corretta sembra essere quella di prendere in considerazione il periodo da un rinnovo all’altro del fido, effettuando una duplice verifica del t(a)eg: iniziale (quello ricavabile dal contratto: tasso nominale + oneri fissi) e finale (tasso nominale + oneri fissi + oneri variabili).

In questo modo, oltre agli interessi (potenzialmente) dovuti in forza delle condizioni pattuite nel contratto, si potrebbero verificare, a posteriori, anche gli interessi e gli oneri effettivamente richiesti/corrisposti per l’utilizzo concreto del fido/castelletto.

Logicamente anche se l’applicazione dell’anatocismo (o delle altre “scorrettezze”) fosse legittimata da validi patti o da norme, nel controllo del t(a)eg, si dovrebbe provvedere a ricalcolare i “numeri” (ed il saldo) perché, in ogni caso, per verificare il tasso annuo “effettivo” e “globale” di un’operazione di finanziamento, al fine di controllare se questo sia superiore o meno al tasso soglia dell’usura o sia solo “sproporzionato”, è sempre necessario distinguere il “monte capitale” dal “monte interessi” (globalmente ed effettivamente intesi), in quanto gli interessi convenzionali sono il frutto di un rapporto tra il capitale (prestato), il tempo (del prestito) ed il tasso (concordato).

Indipendentemente dall’applicazione della sanzione di cui all’art. 1815 c.c., il calcolo del t(a)eg nel conto corrente (rectius “apertura di credito” o “castelletto/sbf”, a seconda del contratto da esaminare), a mio avviso, dovrebbe sempre essere eseguito prendendo in considerazione il capitale prestato e gli interessi richiesti/corrisposti in un determinato periodo (i “giorni”).

Si intende che se il contratto di finanziamento (direttamente o per rinvio a condizioni generali) prevede il calcolo trimestrale degli interessi a debito con la capitalizzazione (anatocismo), il calcolo di commissioni di massimo scoperto (cms) e/o di interessi moratori, questo tipo di corrispettivi rientra egualmente nel tasso (annuo) effettivo e globale (ex art. 644, comma 5, prima parte, c.p.), anche se non appaiono nel tasso (nominale) indicato nel contratto, ma sono rintracciabili nelle clausole di un altro contratto (quello di conto corrente), funzionalmente collegato al contratto di finanziamento.

Secondo i periti filobancari la capitalizzazione sarebbe un fenomeno limitato solo agli interessi maturati e pertanto il divieto di anatocismo, previsto in modo assoluto fino al 2000 dall’art. 1283 c.c., non riguarderebbe, nel caso di apercredito/castelletto in c/c, la capitalizzazione di spese e commissioni che, a loro dire, sarebbe pertanto lecita.

Questi “esperti” non considerano però che ne il contratto di c/c, ne i due suddetti contratti di finanziamento prevedono certo che spese e commissioni diventino a loro volta un capitale fruttifero, perché queste voci, come gli interessi nominali, sono e restano, degli obblighi diversi da un accordo che preveda, a fronte dell’utilizzo di un determinato capitale, la maturazione di interessi prima della domanda giudiziale.

Gli interessi richiesti/percepiti dalle banche come corrispettivo delle “scorrettezze” (cms, anatocismo, valute, interessi ultralegali, indebiti ecc..) rientrano invece senza dubbio tra gli interessi “effettivi” e “globali” da utilizzare per il calcolo del t(a)eg e, a mio avviso, sono da comprendere tra gli “oneri”, perché, a differenza degli interessi ordinari (nominali), non maturano “giorno per giorno”, ma vengono calcolati saltuariamente: la “commissione massimo scoperto” quando c’è lo sconfinamento, la “capitalizzazione/anatocismo” quando il saldo periodico del c/c è in passivo per più di una volta, ecc….

6. Le conseguenze civili dell’accertamento dell’usura bancaria

In sede civile è evidente che le conseguenze dell’accertamento della richiesta/dazione di interessi usurai non richiedono necessariamente l’individuazione di un colpevole, ma sono direttamente applicabili alla fattispecie concreta.

Nel caso risulti viziata da usura un’operazione di credito bancario che utilizzi il conto corrente (il quale, si sottolinea ancora, non è, di per sé stesso, un contratto di finanziamento) per la sua periodica regolazione, come ad esempio un fido (apertura di credito in c/c), abbiamo visto che si dovrà provvedere al ricalcolo del saldo (del c/c), sottraendo ai sensi dell’art. 1815 c.c., dal totale a debito, le somme relative agli interessi (nominali) e agli oneri (commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse) riconosciuti come usurai, cioè superiori al tasso soglia (usura oggettiva) o squilibrati (usura soggettiva), dal momento in cui questi interessi (globali) sono stati promessi, cioè dalla “stipula del contratto” che, nel nostro esempio si avrà, come si è visto, ad ogni rinnovo del fido.

A partire dalla prima liquidazione periodica degli interessi di cui viene accertata l’usurarietà (annuale, semestrale o trimestrale che sia), il nuovo saldo sarà pertanto sicuramente diverso da quello indicato dalla banca nei suoi documenti.

Espressamente il primo comma dell’art. 1 della legge 24/01 ha specificato che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti” ed è pertanto evidente che, anche sotto il profilo temporale, il momento della stipula del contratto è l’elemento fondamentale del rapporto che il magistrato (civile o penale) ed il suo consulente tecnico o gli incaricati delle indagini di polizia giudiziaria (appartenenti alla Guardia di Finanza di norma), devono necessariamente esaminare per verificarne l’eventuale usurarietà del finanziamento (il tasso usuraio discende da accordi usurai, non certo il contrario !).

Logicamente su di un finanziamento usurario non possono certo essere riconosciuti interessi di mora ai sensi dell’art. 1224 del c.c. per l’eventuale ritardo nel pagamento delle rate.

La legge 24/01 ha poi (parzialmente) risolto il caso della cosiddetta “usura sopravvenuta, precisando che per i mutui a tasso fisso stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge 108/96, il cui tasso risultasse essere superiore al tasso soglia in un periodo successivo al 1997, si dovesse procedere alla sostituzione, per le rate con scadenza a decorrere dal 3 gennaio 2001, con un tasso non superiore al valore medio per il periodo gennaio 1986-ottobre 2000 dei rendimenti lordi dei buoni del Tesoro poliennali con vita residua superiore ad un anno.

7. Le conseguenze penali dell’accertamento dell’usura bancaria

Tenuto conto di quanto illustrato sul “reato-contratto” è poi inoppugnabile sostenere che i risvolti civilistici ed amministrativi dell’usura sono indipendenti dall’elemento soggettivo dell’aspetto strettamente penale della fattispecie, comprese le questioni dell’errore sulla norma e del principio di legalità.

A mio avviso, pertanto, l’eventuale archiviazione della notizia del reato di usura, per mancanza del dolo nel soggetto iscritto nel registro degli indagati (come spesso fanno i p.m. che svolgono superficiali accertamenti sulle denuncie per usura bancaria presentate da piccoli imprenditori) o l’assoluzione per non aver commesso il fatto, come nel caso della sentenza del Tribunale di Palmi, è ininfluente nelle altre sedi.

Il p.m., in questi casi, avrebbe tutte le ragioni per continuare l’indagine contro ignoti (o iscrivere altri soggetti, se nelle indagini emergono altri nomi), quando l’usura nel contratto è stata comunque accertata, cioè quando è stato accertato che, nel rapporto giuridico (sinallagmatico) oggetto della denuncia/indagine penale, sono stati dati o pretesi interessi (e/o altre utilità) “superiori al limite di legge” o che risultano “comunque sproporzionati rispetto alle prestazioni di denaro [al capitale] … quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.

Se l’accertamento dell’esistenza di un contratto usuraio, oggettivo (supero del limite) o soggettivo (sproporzione), si verifica invece in sede civile, sia in un procedimento contenzioso (in sede di c.t. contabile), che in un’esecuzione (mobiliare o immobiliare) o in un fallimento, a mio avviso, il giudice competente dovrebbe trasmettere il fascicolo alla Procura, come prevede il quarto comma dell’art. 331 del c.p.p., essendo l’usura un reato perseguibile d’ufficio nel caso di consulenza tecnica preventiva per evitare una lite (art. 696/bis c.p.c.) sarà invece lo stesso c.t.u. ad effettuare la segnalazione del reato, considerato che in questo caso non c’è alcun giudice che abbia (diretta) cognizione della documentazione.

Logicamente si applicherà la sanzione (civilistica) dell’art. 1815 c.c. [non sono dovuti gli interessi (effettivi e globali) se c’è usura], indipendentemente dall’individuazione di un colpevole del reato, cioè senza che sia necessario accertare il dolo, stante, in entrambe le fattispecie di usura, l’indiscutibile autonomia dell’ordinamento civile.

Si deve sottolineare che, fin dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato, imprenditori e professionisti che denunciano alla magistratura l’usura (anche bancaria) hanno accesso ai seguenti benefici: concessione di un mutuo senza interesse (art. 14, secondo comma, legge 108/96) e sospensione/proroga di termini pregiudizievoli (art. 20, legge 44/99), indipendentemente dall’accertamento degli autori materiali del reato.

Questi benefici sono però connessi all’espletamento delle indagini ed al proseguo dell’iter giudiziario e decadono solo quando il reato viene escluso in via definitiva, cioè solo se viene accertato, in sede civile o penale, che il contratto non è usuraio, ovvero che il t(a)eg non supera il tasso soglia oppure che non c’è stato approfittamento delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria del debitore, nel caso in cui il t(a)eg fosse inferiore al tasso soglia.

8. L’elemento soggettivo nel reato di usura bancaria

Per quanto attiene all’aspetto “soggettivo” del reato di usura (cioè all’intenzione di colui/coloro che predispongono, concludono e/o chiedono l’esecuzione dell’accordo usurario), la maggior parte degli interpreti ritiene sia sufficiente il dolo generico, cioè la coscienza dei soggetti agenti di obbligare la parte offesa a corrispondere interessi oltre il limite di legge [63].

E’ da escludere il dolo diretto, che era invece richiesto con la precedente normativa, considerato che manca ogni riferimento all’approfittamento dello stato di bisogno e che è sufficiente aver consapevolezza dell’esistenza del tasso soglia.

A mio avviso, in particolare nelle indagini che vedono coinvolti i dirigenti bancari che stabiliscono le clausole ed i tassi per i contratti di credito e nei funzionari e/o professionisti terzi che li gestiscono (concessione, recupero ed eventuale contenzioso), si dovrebbe anche considerare il dolo eventuale (accettazione consapevole del rischio di obbligare la vittima a corrispondere interessi oltre il limite legale), conseguente al fatto che, in particolare nei finanziamenti che durano nel tempo mediate ripetuti rinnovi (come le aperture di credito in conto corrente), chiedendo i corrispettivi (interessi effettivi e globali), per il capitale prestato, in varie forme, talvolta anche in modo occulto o indebito (ad es. capitalizzazione/anatocismo, commissioni di massimo scoperto non contrattualmente determinate, ecc…), la banca può facilmente sforare il tasso soglia o avvicinarvisi (logicamente considerando anche gli oneri e non il solo tasso nominale), approfittando di regola sia dell’ignoranza che della difficoltà economica o finanziaria del debitore.

E’ infatti ricorrente nella costante prassi bancaria aumentare il tasso, cioè far pagare di più il danaro, quando il soggetto è economicamente o finanziariamente bisognoso (con il “pretesto” che il rischio è più elevato).

A questo proposito si sottolinea che l’(eventuale) applicazione (anche lecita) della clausola anatocistica (il calcolo degli interessi sugli interessi scaduti), dimostra, in modo evidente, la volontà di chiedere interessi (potenzialmente) usurari, visto che l’interesse composto (matematicamente parlando) tende ad un tasso infinito, che è sicuramente usuraio.

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Consulente Legale partner accreditato al Centro Diritto Bancario esperto in Diritto Penale. Si occupa in modo esclusivo della materia penale, sia assumendo mandati difensivi, che prestando attività di consulenza stragiudiziale, prevalentemente nell’ambito della c.d. criminalità economica in materia bancaria, fallimentare in generale, dei reati tributari, falso in bilancio e altro. Ha approfondito le proprie competenze in diritto penale dell’economia con un focus particolare, proprio il settore dei cosiddetti white-collar crime, associato ad una specifica competenza maturata nei procedimenti per ipotesi di usura.