Come nasce, in cosa consiste, come funziona e quali implicazioni ha un fenomeno che oggi è molto dibattuto.
Chi studia diritto sa che a ogni debito corrisponde un credito. Chi conosce l’economia sa molte altre cose: ad esempio, che i debiti riguardano non solo le persone, ma anche gli Stati. La moderna moneta viene emessa “a debito” dalle banche centrali: chi la detiene vanta un credito corrispondente alla quantità di denaro riportata sulle banconote. Il fatto che la moneta attuale sia diventata, in gran parte, elettronica non cambia la sostanza delle cose.
Un altro concetto essenziale che si impara in economia è che “la maggior parte delle cose non viene fatta gratis”. E questo vale per la gente, per le aziende ed anche per le istituzioni. I lavoratori scambiano il loro tempo e le loro capacità produttive con la retribuzione; gli Stati guadagnano (anche) emettendo le loro rispettive monete. Oggi questo discorso si è ampliato, perché gli Stati dell’Unione Europea hanno ceduto in massima parte la loro sovranità monetaria alla Bce, la Banca centrale europea, che emette e pone in circolazione la moneta unica, l’Euro, e stabilisce con un’intesa comune le principali politiche monetarie (quantitativi circolanti, tassi di interesse, controllo dell’inflazione, ecc.).
Ma una storia è fatta da molti personaggi, e non solo dagli attori protagonisti. Così rimane un importante ruolo alle banche nazionali, che non sono solo pubbliche, come la Banca d’Italia, ma sono in larga parte istituti di credito privati. Tutti i giorni le banche e le società finanziarie, di fatto, emettono moneta quando concedono un credito: un mutuo ipotecario per l’acquisto di una casa, un finanziamento per ristrutturare un immobile, un prestito per l’acquisto di un’autovettura. Da qui possiamo cominciare ad intravedere cos’è il signoraggio bancario: questi soggetti non possono certo “battere moneta”, ma tramite i finanziamenti guadagnano un corrispettivo, costituito dagli interessi stabiliti nel contratto in base al tempo di restituzione previsto, alla qualità del soggetto richiedente, all’andamento dell’economia in quel periodo e a molti altri fattori.
Questo profitto, però, non è certo, ma è soltanto sperato ed eventuale, perché il debitore può fallire e non restituire la somma ricevuta. Anche gli Stati soffrono per lo stesso problema, ma a un livello più alto e complesso, quando i prestiti internazionali non vengono ripagati. Qui non operano le norme giuridiche di diritto interno, ma la soluzione è affidata ai trattati, ai rapporti di forza, alle organizzazioni internazionali e, in definitiva, alla politica (anche la guerra è una forma di politica, attuata con mezzi non diplomatici ma coercitivi).
Il termine signoraggio significa “aggio del signore”: era il diritto, attribuito agli antichi sovrani e feudatari, di ricevere un guadagno dall’emissione di moneta. In pratica, in un tempo in cui le monete erano fatte di metallo prezioso (e non esistevano ancora le banche) il signore dell’epoca coniava, ad esempio, 1.000 monete del valore di un grammo d’oro ciascuna, ma inseriva in ognuna esse soltanto 0,90 grammi d’oro, e il resto era di un’altra lega; così guadagnava il controvalore di 0,10 grammi d’oro per ogni moneta coniata e messa in circolazione (al lordo delle spese di conio e di distribuzione).
Lo stesso metodo veniva applicato alle monete di argento, rame o bronzo. Grazie a questo sistema, ogni nobile dell’antichità (come i patrizi romani) poteva, con l’autorizzazione della Zecca di quei tempi, coniare moneta, ricavandone un profitto. Col tempo la “concessione” di usare l’immagine del sovrano sulle proprie monete venne fatta pagare, e la zecca statale tratteneva una parte dell’oro portato dai ricchi privati per coniare le proprie monete, ufficialmente per coprire i costi, ma in realtà per ricavarne anche un guadagno. Per inciso, la zigrinatura sulle monete, che è presente ancora oggi, nacque proprio per impedire che qualcuno “grattasse” i bordi per lucrare sul metallo prezioso.
Nell’epoca moderna le cose si sono evolute. L’oro è rimasto depositato nei forzieri delle casse statali e, per favorire la circolazione del denaro, sono nate le banconote. Inizialmente erano delle lettere di credito: ad esempio, un mercante fiorentino che si recava a Venezia (erano Stati diversi), anziché portarsi appresso le monete per pagare in contanti i prodotti acquistati, depositava la somma in banca e si faceva rilasciare un documento che conteneva una promessa di pagamento in favore di chi lo avesse portato all’incasso. Il sistema funzionava, ovviamente, tra fornitori abituali e grazie a una rete consolidata di banche, che nel frattempo erano nate (in Italia, all’epoca degli Stati comunali) ed operavano nei vari Stati alla fine del Medioevo e durante il Rinascimento.
Quando il potere politico fu accentrato negli Stati nazionali, il monopolio dell’emissione di questo tipo di moneta passò alle banche centrali, che cominciarono ad emettere banconote: erano delle lettere di credito perfezionate, accettate da tutta la comunità e, soprattutto, garantite dalle ingenti riserve statali di oro, costituite apposta come indispensabile garanzia di valore della moneta circolante. Da qui la famosa dicitura apposta su ogni banconota: «pagherò a vista al portatore» di questo foglietto di carta il corrispondente valore convenzionale stabilito (una sterlina, un dollaro, una corona, una lira, ecc.), controfirmata dal Governatore della banca emittente.
Chiaramente, quasi nessuno si recava in banca per cambiare le proprie banconote ed ottenere il controvalore in oro, perché il sistema era reputato sicuro, anche quando, nell’epoca moderna, l’ammontare della riserva obbligatoria di cambio è stato sempre più diminuito, fino all’abolizione della convertibilità dei dollari in oro, ai quali tutta la comunità mondiale si è adeguata. Intanto, così la moneta cartacea, insieme ai soldi spicci (riservati agli importi di minor valore) aveva iniziato a circolare in tutti i rapporti quotidiani e ad essere usata come la conosciamo oggi, fino a diventare un comune mezzo di scambio. Ancora oggi avere una banconota significa vantare un corrispondente credito nei confronti della banca centrale che l’ha emessa, e un corrispondente debito che la banca centrale ha assunto, al momento dell’emissione, nei confronti di tutti i successivi “portatori” di quella banconota.
Cos’è il signoraggio bancario
Il signoraggio – come fenomeno base – è sempre esistito, almeno sin da quando esiste il denaro che ha soppiantato il primitivo baratto. A livello nazionale, viene praticato da tutti gli Stati del mondo e per ogni tipo di moneta; ad esempio, per l’Euro dalla Bce, alla quale partecipano tutte le banche nazionali dei Paesi membri dell’Unione Europea.
Tra l’altro, proprio l’esigenza di evitare abusi da parte dei Governi ha fatto sì che, nell’epoca moderna, il compito di emettere banconote è stato affidato alle banche: fino all’Ottocento a quelle private, e dal Novecento, solo a banche pubbliche e centralizzate (con rarissime eccezioni, come i “miniassegni” usati negli anni ‘70): non più di una per ogni Stato. Quindi il signoraggio bancario è quello compiuto da queste banche, con modalità analoghe a quelle che avvenivano nei tempi più antichi. Il concetto di fondo è rimasto il medesimo, ma con un’aggiunta.
Attualmente ogni banca centrale realizza il signoraggio come differenza tra il valore delle banconote prodotte (al netto dei costi di produzione) e il corrispettivo che riceve per i loro impieghi. ottiene il signoraggio nel corso del tempo, come flusso di interessi sulle proprie attività fruttifere, al netto del costo di produzione delle banconote. Il valore scontato di tale flusso, che come si è detto è riversato allo Stato, è pari a quello che quest’ultimo avrebbe ottenuto immettendo direttamente la banconota nel circuito economico.
Ma, oltre a questo fenomeno, che gli economisti chiamano «liquidità primaria», esiste un altro tipo di signoraggio, che è secondario e derivato, ma non meno importante del primo, almeno per quanto riguarda gli effetti pratici che pone. Ogni banca, infatti, iscrive nei propri libri contabili, come debito, e dunque come voce passiva le somme che “crea”, ossia che presta e fornisce ai propri clienti, e invece riporta nell’attivo gli importi che riceve in cambio. La differenza tra questi due valori non è altro che il signoraggio bancario. È un fenomeno derivato, e non primario o autonomo, perché, prima ancora di ciò, ogni banca, per finanziarsi, riceve prestiti dalla banca centrale che stampa le banconote, e le iscrive all’attivo, in quanto fruttifere (saranno prestate a loro volta, ai clienti, e così produrranno interessi).
In tempi recenti si è verificato un fenomeno opposto, in base al quale le banche private hanno un surplus di denaro e lo depositano presso la banca centrale; per farlo, però, devono pagare un interesse, perché i rendimenti degli impieghi monetari si sono pressoché azzerati. Ecco perché, di riflesso, anche gli interessi ricevuti dai privati sui loro depositi in conto corrente sono diventati irrisori o addirittura negativi (te ne parliamo più ampiamente nell’articolo “Troppi soldi in banca: conti correnti a rischio“). Come abbiamo visto, tutti i fenomeni economici sono concatenati tra loro, anche se non è sempre facile stabilire quali siano le cause e quali gli effetti.
Alcuni attaccano il signoraggio bancario ritenendolo un sistema di extraprofitto ingiusto ed iniquo. In realtà il signoraggio bancario è un fenomeno lecito e, per certi versi, necessario al funzionamento dell’economia (gli Stati tramite le banche centrali emettono moneta, i privati risparmiano e investono le somme di denaro non spese, le imprese hanno bisogno di essere finanziate, e così via). Il vero problema, da un punto di vista economico, sta nel fatto che non è facile misurare nel suo complesso la quantità di denaro prestata (e dunque “creata”, nel senso che abbiamo detto) dalle banche, al di là degli appostamenti contabili obbligatori. A livello giuridico, invece, la Corte di Cassazione, con un’importante pronuncia resa a Sezioni Unite, ha ritenuto legittimi i redditi derivanti da signoraggio bancario, in quanto derivanti da un sistema previsto dalla normativa dell’Unione Europea, che lo Stato italiano è tenuto a rispettare.
Ma, siccome il diavolo si nasconde nei dettagli, bisogna spiegare che il signoraggio bancario è possibile grazie alla «riserva frazionaria»: con questo concetto tecnico di macroeconomia si esprime la percentuale dei depositi bancari che ogni banca, per legge, è tenuta a mantenere disponibile in contanti o in attività facilmente liquidabili. Tutte le banche italiane devono, obbligatoriamente, accantonare depositare presso la Banca Centrale Europea, per il tramite della Banca d’Italia, almeno l’1% delle somme depositate dai clienti. E la normativa speciale sulla solidità degli istituti creditizi prevede accantonamenti ulteriori a riserva obbligatoria.
Tutto questo serve per stabilizzare il sistema monetario e a garantire una minima sicurezza in termini di “tenuta” dell’economia nazionale a fronte di possibili crisi. In ogni periodo la Banca d’Italia può variare l’ammontare delle riserve obbligatorie, in base all’andamento dell’economia, e, ad esempio, può stabilire che la percentuale aumenti. Infatti dall’entità della riserva dipende il cosiddetto «moltiplicatore monetario»: la banca non può prestare le somme costituenti la riserva obbligatoria e questo evidentemente condiziona le possibilità di emissione di crediti ai clienti. Ecco, quindi, perché in determinati periodi il rubinetto si stringe, o si allarga. Ma questo evita i possibili crac dovuti alla “finanza facile” con la quale, fino alla crisi mondiale del 2008-2011, le banche concedevano al pubblico anche crediti non adeguatamente garantiti e non disponevano di riserve sufficienti a fronteggiare le improvvise carenze di liquidità dovute ai mancati rimborsi generalizzati.