La Commercial Court di Londra riapre la partita sulla validità dei derivati di tipo speculativo e/o la cui sottoscrizione abbia generato indebitamento non destinato al finanziamento di investimenti.
Sono nulli anche per il diritto inglese i derivati degli enti locali italiani di tipo speculativo e/o la cui sottoscrizione abbia generato indebitamento non destinato al finanziamento di investimenti: è questa la decisione della Commercial Court di Londra del 14 ottobre 2022 nel contenzioso tra Banca Intesa e Dexia e il Comune di Venezia sui derivati sottoscritti dall’ente nel 2007.
Il derivato del Comune di Venezia oggetto del giudizio era stato concepito in sostituzione di un precedente derivato, sottoscritto con Bear Stearns, a copertura di una coeva emissione obbligazionaria. La sopravvenuta esigenza di prolungare consistentemente la maturity di tale emissione, per liberare risorse per le casse comunali, comportava la necessità di chiudere quel derivato, il che, però, avrebbe causato esborsi immediati a carico del Comune, causa mark-to-market negativo, per oltre 7 milioni di euro a favore di Bear Stearns.
La soluzione congegnata da Intesa e Dexia era pertanto consistita in un complesso Interest Rate Swap con Collar il cui effetto sarebbe stato quello di “assorbire” all’interno del nuovo derivato i costi di chiusura del derivato Bear Stearns (di cui, infatti, si facevano carico Intesa e Dexia).
Inevitabilmente, questo derivato aveva generato sin dall’inizio un mark-to-market consistentemente negativo per il Comune e, successivamente, pesanti passività determinate anche dal crollo dei tassi di interesse successivo alla crisi finanziaria del 2008.
La Corte inglese ha dichiarato la nullità del derivato in quanto speculativo.
La Corte Inglese è giunta a tale conclusione attraverso una dettagliata analisi della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 8870 del 2020) nel caso del Comune di Cattolica, che aveva, tra le altre cose, sancito il divieto per gli enti italiani di stipulare derivati speculativi. Quella parte della decisione delle Sezioni Unite, fino ad oggi valevole per i soli derivati regolati dalla legge italiana, è stata pertanto estesa anche a quelli regolati dalla legge inglese.
Nella interpretazione che il giudice inglese ha dato della decisione italiana, la violazione del divieto di stipulare derivati speculativi si risolve in un difetto di legittimazione contrattuale dell’ente pubblico (lack of capacity), che rende nulli anche i contratti regolati dalla legge inglese. Il derivato in questione è stato giudicato speculativo in quanto, per come concretamente strutturato, il suo fine prevalente non era la protezione dalla fluttuazione dei tassi di interesse dell’obbligazione sottostante, ma piuttosto quello di evitare l’esborso immediato del costo di chiusura del derivato precedente. Inoltre per la Commercial Court, il difetto di legittimazione contrattuale si riscontra anche nel caso in cui, in violazione dell’art. 119 comma 6 della Costituzione italiana, l’ente contragga indebitamento per cause diverse dal finanziamento di investimenti. Nello specifico, l’assorbimento del costo di chiusura del derivato Bear Stearns nel derivato successivo è stato qualificato come indebitamento non consentito, con la conseguenza che il derivato che è stato dichiarato nullo anche sotto tale profilo.
La sentenza della Commercial Court è di grande interesse poiché, oltre a decidere sul caso singolo, offre importanti spunti per capire quando un derivato possa essere considerato speculativo. Per il giudice inglese sono da ritenersi tali quei derivati in cui una serie di indizi contrattuali tradiscano finalità aggiuntive e prevalenti rispetto a quelle di mera copertura, come ad esempio il finanziamento o la rimodulazione del debito. Tra tali indizi si possono citare i casi in cui i differenziali a carico dell’ente sono calcolati, anche solo in parte, su tasso variabile a fronte di obbligazioni sottostanti a tasso fisso, in cui l’ammontare del nozionale del derivato è sganciato dagli importi del debito oggetto di hedging, oppure quando vi è un significativo squilibrio tra cap e floor nel Collar.
Vi è poi un punto fermo nella sentenza: se il derivato prevede un pagamento in upfront da parte della banca all’ente, tale upfront deve ritenersi indebitamento, che, se non destinato ad investimenti, rende nullo il contratto anche ai sensi della legge inglese.
La decisione della Commercial Court rappresenta indubbiamente una svolta rispetto alla precedente giurisprudenza inglese nel contenzioso tra banche ed enti locali italiani, se solo si considera che soltanto un anno fa, nel primo giudizio post-Sezioni Unite, la stessa Commercial Court (in diversa composizione) aveva ritenuto validi i derivati sottoscritti dal Comune di Busto Arsizio. Nella sentenza sui derivati in esame la decisione delle Sezioni Unite, che era stata oggetto di una lettura piuttosto riduttiva e banalizzante nel caso di Busto Arsizio, ha finalmente ottenuto la considerazione e il rispetto che merita e ha correttamente orientato il giudice nella decisione.
A seguito di questa sentenza, gli enti locali che hanno in pancia derivati regolati dalla legge e giurisdizione inglesi e con caratteristiche diverse rispetto a quelle di mera copertura (situazione molto diffusa, atteso l’utilizzo “creativo” che si è fatto in passato di tali strumenti) possono nuovamente considerare con attenzione l’opzione del contenzioso inglese. (fonte Altalex.com)